Diagnosi del degrado e restauro delle strutture in C.A. – Capitolo 2

CAP. II – Prescrizione ed interpretazione delle prove in sito ed in laboratorio

2.1 ANALOGIE TRA DIAGNOSI MEDICA E QUELLA DI STRUTTURE IN C.A.

Forse a molti lettori è più familiare la pratica della diagnosi medica che non quella ingegneristica. Con la prima il clinico o il chirurgo cerca di capire:

a) la natura dell’eventuale male

b) l’estensione di questo eventuale malanno

Sulla base del responso a questi dubbi, il clinico sceglierà la strategia più appropriata alla cura della malattia ed il chirurgo stabilirà la tecnica più adeguata di intervento per ridurre o estirpare eventualmente la fonte del male. In ogni caso però, come l’esperienza pratica ci insegna, tanto il clinico quanto il chirurgo scelgono essi stessi le tecniche analitiche più appropriate (per esempio: radiologia o velocità di sedimentazione del sangue) per arrivare alla diagnosi attraverso l’interpretazione dei dati emessi dagli analisti.

Perché tutta questa premessa di carattere medico apparentemente fuori luogo in un testo sul degrado e restauro e delle strutture in c.a.? Perché, salvo le solite meritorie eccezioni, né l’ingegnere civile/edile né l’architetto sono in grado essi stessi, al contrario dei medici, di scegliere il mezzo analitico più adatto per arrivare alla diagnosi. Né spesso sono in grado di precisare dove fare il prelievo del campione dell’edificio e della struttura da sottoporre ad analisi diagnostica. E’ come se il clinico o il chirurgo non sapesse se l’analisi del contenuto di azoto va fatta sul sangue o sulla saliva.

La ragione di questa distonia tra la scienza medica e quella delle costruzioni sta soprattutto nel fatto che nei corsi universitari i medici apprendono – sia pure da studenti e non certo da specialisti – le possibilità offerte dalle tecniche chimiche, fisiche, biologiche per una corretta emissione della diagnosi; al contrario, i geometri nelle scuole superiori, gli ingegneri civili/edili e gli architetti nelle università sono pressoché digiuni dei progressi nel settore diagnostico. Pertanto essi sono costretti spesso ad affi darsi allo stregone di turno solitamente chiamato “il chimico” – anche se poi spesso le prove sono di carattere fi sico, mineralogico, ingegneristico oltre che chimico – perché sia lui a stabilire quali e quanti prelievi effettuare, quali tipi di misure eseguire ed interpretare, per arrivare non solo alla diagnosi ma possibilmente anche al rimedio proposto.

Al contrario, gli ingegneri civili/edili e gli architetti nelle università sono pressoché digiuni dei progressi nel settore diagnostico. Pertanto, essi sono costretti spesso ad affidarsi allo “stregone” di turno – solitamente chiamato “il chimico” – anche se poi spesso le prove sono di carattere fisico, mineralogico, ingegneristico oltre che chimico – perché sia lui a stabilire quali e quanti prelievi effettuare, quali tipi di misure eseguire ed interpretare, per arrivare non solo alla diagnosi ma possibilmente anche al rimedio proposto.

L’obiettivo di questo capitolo è quello di offrire, sia pure in modo non esaustivo, ai tecnici delle costruzioni gli elementi fondamentali delle varie tecniche diagnostiche, affinché siano in grado di scegliere autonomamente quali siano le più appropriate allo specifico caso, e soprattutto di interpretarne i risultati insieme a tutte le altre informazioni al contorno.

2.2 LA DIAGNOSI E LE PROVE

La diagnosi del deterioramento di un edifi cio storico o di una struttura in c.a. consiste nella raccolta di dati sperimentali che – unitamente alle informazioni al contorno, di carattere ambientale, climatico, storico, strutturale – consente di stabilire le cause del deterioramento della struttura in genere, e del degrado dei materiali in particolare, come è schematicamente illustrato nella Fig. 2.1

 

Fig. 2.1 – Schematizzazione del processo diagnostico

 

La raccolta di dati sperimentali si basa sull’esecuzione di prove che possono essere suddivise in distruttive o non-distruttive.

La distinzione tra prove distruttive e prove non-distruttive consiste fondamentalmente nel fatto che le prime si basano su prove sperimentali, generalmente eseguite in laboratorio, effettuate su provini o campioni  *prelevati dalla struttura: ne consegue che esse prevedono in genere lo scrostamento di frammenti di intonaco, il sollevamento sia pure parziale di un rivestimento.

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Il provino ha una forma geometrica ben precisa: cubica, cilindrica, prismatica. Il campione è un frammento geometricamente informe che si presenta in polvere o in forma di scheggia.

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