Dizionario enciclopedico del calcestruzzo – Sezione 10

Zona di transizione. E’ l’interfaccia tra la matrice cementizia (←) e l’inerte (←) (F. Maso, “The bond between aggregate and hydrated cement paste”, Proceedings of the Seventh International Congress on the Chemistry of Cements, Vol 1, pag VII-1/3, VII-1/15, Editions Septima, Paris, 1980). Essa rappresenta il punto debole del calcestruzzo per la maggiore porosità dovuto alla risalita di acqua di bleeding (←) che rimane bloccata sotto l’aggregato come è mostrato nella Figura che segue: 

Come conseguenza di questa situazione la microstruttura all’interfaccia tra aggregato e matrice cementizia comporta una zona di transizione, spessa alcune decine di μm, più porosa come è mostrato nella Figura che segue. L’eliminazione della porosità nella zona di transizione viene realizzata con l’impiego del fumo di silice (←) nel calcestruzzo DSP (←) ad alta resistenza meccanica. 

La zona di transizione, che è in genere più porosa e meccanicamente più debole degli altri due componenti —aggregato lapideo e matrice cementizia— esercita un’influenza sulle proprietà del materiale composito significativamente maggiore di quella che ci si potrebbe attendere dalle sue dimensioni relativamente ridotte. 

Per interpretare meglio il meccanismo dell’influenza, piuttosto complessa, esercitata dalla zona di transizione sulle proprietà meccaniche del materiale (ma anche su quelle elastiche e su quelle riguardanti la durabilità), è opportuno approfondire la descrizione di questa zona-chiave del calcestruzzo. 

Già la raccolta di acqua di bleeding sotto gli aggregati grossi determina un rapporto acqua/cemento (←) più elevato (e quindi una maggiore porosità) nella zona di transizione rispetto alla matrice cementizia. La formazione dei primi germi-cristallini di calce di idrolisi (←), Ca(OH)2, e di ettringite (←), che avviene in tutta la matrice cementizia per effetto dell’idratazione del cemento (←), è seguita da un maggior accrescimento dei cristalli di questi prodotti nella zona di transizione più porosa per il maggior rapporto acqua/solido local- mente esistente. 

In condizioni particolarmente favorevoli, a tempi molto lunghi, e con accurata stagionatura umida (←) per favorire l’idratazione del cemento la zona di transizione potrebbe anche diventare un po’ meno porosa della matrice cementizia con formazione di veri e propri legami chimici tra i prodotti di idratazione del cemento e la superficie dell’aggregato con formazione di carbo-alluminati a base di C-A-H (←) se quest’ultimo è di tipo calcareo, o di C-S-H (←) se l’aggregato è siliceo. Tutta- via, è difficile che questa situazione, che potenzialmente determinerebbe addirittura una maggiore resistenza meccanica della zona di transizione, possa realmente verificarsi nelle usuali stagionature all’aria dei conglomerati cementizi, cioè in assenza di un’accurata stagionatura umida. 

Inoltre, un’altra caratteristica della zona di transizione, in aggiunta ad una maggiore porosità che si protrae per diversi mesi, consiste nell’innesco e nella propagazione di microfessure che danneggiano irreversibilmente il materiale. Le microfessure si possono formare nella zona di transizione per una qualsiasi causa di sollecitazione che provochi un movimento differenziale tra la matrice cementizia e l’aggregato che sono dotati di moduli elastici significativamente diversi tra loro: un gradiente termico originato dal calore di idratazione del cemento (←); un ritiro igrometrico (←) che coinvolge la matrice cementizia (←) ma non l’inerte (←); un carico applicato per un tempo più o meno lungo ancorché inferiore a quello di rottura. In tutte queste circostanze la zona di transizione (se viene a mancare una stagiona- tura umida prolungata per qualche mese, e ciò si verifica solitamente) diventa il luogo dove si accumulano le varie microfessure tra la superficie dell’aggregato e la circostante matrice cementizia. 

Quando il materiale è sollecitato fino a rottura, durante la prova per la determinazione della resistenza meccanica, le microfessure già esistenti aumentano per larghezza e lunghezza, propagandosi preferibilmente nella zona di transizione e successivamente nella matrice cementizia, In genere, a partire da una sollecitazione pari a circa il 40% di quella che provoca la rottura, le deformazioni del calcestruzzo aumentano molto più rapidamente con il progressivo incremento della sollecitazione proprio per il propagarsi delle microfessure già esistenti nella zona di transizione. Ciò spiega perché il calcestruzzo mostri una deformazione plastica laddove i suoi componenti singoli (inerte e pasta di cemento) si comportano fragilmente alla rottura dopo una deformazione elastica pressoché lineare come è mostrato nella Figura che segue: 

Inoltre, quando in un calcestruzzo si raggiunge una sollecitazione pari a circa il 70% di quella che provo- ca la rottura, ha inizio la fessurazione della matrice cementizia a causa della concentrazione degli sforzi intorno ai vuoti (macro-cavità, pori, difetti) esistenti nella pasta di cemento. Con sollecitazioni progressivamente maggiori, le fessure si diffondono attraverso la matrice e vanno a ricongiungersi con quelle preesistenti sviluppatesi nella zona di transizione, creando così uno stato fessurativo pressoché continuo e provocando, quindi, la rottura del materiale. 

In assenza di aggregati, invece, la propagazione delle fessure nella pasta cementizia, fino allo stato fessurativo continuo e quindi alla rottura, richiede una maggiore sollecitazione. Ciò spiega perché il calcestruzzo presenta una minore resistenza meccanica rispetto non solo al- l’aggregato, ma anche alla matrice cementizia. 

Infine, poiché la propagazione delle fessure richiede più forza ma anche più energia nelle sollecitazioni di compressione che in quelle di trazione, si può spiegare perché la resistenza meccanica a compressione (←) sia maggiore della resistenza meccanica a trazione (←) e perché il calcestruzzo presenti il caratteristico comportamento di un materiale fragile, anche se in realtà esso subisce, prima della rottura, una leggera deformazione plastica. 

Sulla base del meccanismo sopra illustrato, ed in particolare del ruolo giocato dalla zona di transizione, si può anche spiegare l’influenza del fuoco (←) sulle proprietà elastiche e meccaniche del calcestruzzo: a causa delle tensioni termiche, infatti, le microfessure preesistenti nella zona di transizione si allargano e si estendono riducendo ulteriormente il contatto tra matrice cementizia ed aggregato e la conseguente possibilità di trasferire gli sforzi. Pertanto, dopo un incendio (←) si registra, in genere, una diminuzione di modulo elastico del calcestruzzo molto maggiore del corrispondente calo nella resistenza meccanica a compressione. 

Poiché la zona di transizione gioca un ruolo molto più determinante con gli aggregati grossi, dove è più facile che si verifichino le condizioni di acqua intrappolata per effetto del bleeding interno, ne consegue che, a parità di rapporto acqua/cemento, la resistenza meccanica a compressione risulterà minore nel calcestruzzo che non nella malta (←). 

La presenza di microfessure nella zona di transizione, oltre ad influenzare le proprietà meccaniche ed elastiche del calcestruzzo, condiziona anche la permeabilità all’acqua (←) e ad altri potenziali agenti aggressivi che favoriscono il degrado del calcestruzzo (←): in corrispondenza della zona di transizione, intrinsecamente più porosa e più micro-fessurata, diventa più facile l’ingresso di acqua e di aria con conseguenze negative sulla durabilità (←) del calcestruzzo e sulla protezione dalla corrosione dei ferri di armatura (←) come ha dimostrato Mehta (←) nel suo meccanismo di degrado delle strutture in calcestruzzo (←) secondo l’approccio olistico (←). 

Zuccheri. Sono impurità che accompagnano il lignin-solfonato (←) provocandone un effetto di eccessivo ritardo nell’idratazione del cemento (←) nel calcestruzzo fresco (←). Da soli possono essere impiegati come materie prime per additivi ritardanti (←). 

Lo zucchero sciolto in acqua può danneggiare il calcestruzzo indurito (←). → vedi Attacco di prodotti naturali.

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