Diagnosi del degrado e restauro delle strutture in C.A. – Capitolo 5

DIAGNOSI DEL DEGRADO NELLE STRUTTURE IN CALCESTRUZZO

 

5.4 PROVE IN SITU

Le prove in situ (§ 2.3-2.3.10) sono quelle, a carattere non distruttivo, effettuate sulle strutture per una delle seguenti ragioni (Tabella 5.3):
● rilevare la presenza di difetti interni non visibili esternamente (fessure, fratture, ecc.) su una estensione considerevole delle strutture senza ricorrere, in
alternativa, ad un numero considerevole di carotaggi: ciò può essere eseguito misurando la velocità delle onde soniche o ultrasoniche che, come è noto, dipende
dalla continuità o meno del materiale attraversato dalle onde;
● raccogliere informazioni preliminari di carattere comparativo circa la omogeneità del materiale sulla superficie: per esempio le prove sclerometriche
eseguite su una pavimentazione o lungo un pilastro possono evidenziare aree localizzate di minor durezza superficiale (e quindi di minor resistenza meccanica)
rispetto ad altre, così da individuare in modo preciso le zone della struttura da sottoporre ad eventuali prelievi per le successive prove in laboratorio;
● verificare il posizionamento dei ferri di armatura ed il relativo spessore di copriferro mediante misure magnetometriche;
● stabilire l’andamento temporale dello spessore e della lunghezza nelle eventuali fessure attraverso un monitoraggio continuo al fi ne di accertare se il
processo fessurativo è stabilizzato o ancora in atto.

 

Esempi di dati “storici” utili per la emissione della diagnosi

L’esecuzione delle prove in situ nel loro insieme possono essere meglio organizzate non solo dopo aver esaminato l’aspetto visivo del degrado, ma anche dopo
aver valutato criticamente i dati “storici”. Questa fase intermedia della diagnosi consente, inoltre, di predisporre un piano fi nale di prove sperimentali basate su
pochi prelievi di campioni (calcestruzzo, ferri, ruggine) e su alcune determinazioni analitiche in laboratorio ben mirate all’obiettivo fi nale della diagnosi.

5.5 PROVE DI LABORATORIO

Prima di procedere al prelievo ed alle relative prove di laboratorio (§ 2.4- 2.4.8) è opportuno valutare l’insieme dei dati emersi nelle fasi precedenti
(esame visivi, raccolta dei dati “storici”, e prove in situ) al fine di interpretarli possibilmente sulla base di tutte le possibili cause di degrado. In sostanza, è
consigliabile disporre di più ipotesi in alternativa tra loro, che possono giustificare il degrado registrato . In queste condizioni i prelievi e le relative prove di
laboratorio dovranno essere finalizzati a sciogliere gli eventuali dubbi circa le ipotesi tra loro alternative ed a consolidare il meccanismo di degrado soprattutto
in relazione alla sequenza ed alla complementarità delle varie cause.
A solo titolo di esempio, si può prendere in considerazione il caso di una soletta da ponte che presenta all’esame visivo in corrispondenza dell’intradosso:
● macchie di ruggine;
● fessure spaziate con regolarità.
Si supponga che dalla raccolta dei dati “storici” sia emerso che:
● il calcestruzzo impiegato era di media qualità (Rck = 30 MPa);
● l’opera è stata realizzata da 8 anni;
● le fessurazioni e le macchie di ruggine sono state osservate recentemente;
● i carichi dinamici ai quali il ponte è sottoposto sono stimati di modesta entità o comunque sono compatibili con le sezioni e l’armatura della soletta;
● l’opera si trova in area con clima temperato e non sono mai state effettuate “salature” per sciogliere il ghiaccio. Si supponga, inoltre, che dalle prove in situ (attraverso, per esempio, misure magnetometriche) risulta che:
● il copriferro si presenta con spessore uniforme di circa 25 mm.

L’esame critico di tutti questi dati può portare a due ipotesi (nel seguito indicate A e B) la prima delle quali è sicuramente più probabile. L’ipotesi A si basa in sintesi sul seguente meccanismo:
a) carbonatazione uniforme del copriferro;
b) ossidazione (e rigonfi amento) dei ferri;
c) fessurazione del copriferro di calcestruzzo in corrispondenza dei ferri;
d) trasporto della ruggine in superfi cie (macchie).
L’ipotesi B, meno probabile ma che non può essere esclusa, si basa invece sul seguente meccanismo:
a) fessurazione del copriferro all’intradosso per effetto dei carichi dinamici provocati dal passaggio dei mezzi di trasporto;
b) ossidazione dei ferri in corrispondenza delle zone fessurate accompagnata da carbonatazione localizzata;
c) trasporto della ruggine in superficie (macchie).
Per emettere la diagnosi definitiva (da cui evidentemente dipende il successivo intervento di restauro) è necessario mirare i prelievi e fi nalizzare le prove di
laboratorio per stabilire quale delle due ipotesi A e B risulti la più attendibile. A questo scopo è suffi ciente determinare il profi lo della carbonatazione all’interno
del calcestruzzo in corrispondenza dell’intradosso:
● Ipotesi A: profondità di carbonatazione uniforme e maggiore dello spessore di copriferro (Fig. 5.2);
● Ipotesi B: profondità di carbonatazione irregolare ed eguale allo spessore di copriferro solo in corrispondenza delle fessure (Fig. 5.3);
● Ipotesi B’: profondità di carbonatazione irregolare e maggiore dello spessore di copriferro solo in corrispondenza delle fessure (Fig. 5.4).
Val la pena sottolineare che, nel caso sia l’ipotesi B la causa che ha promosso il degrado, il profi lo della carbonatazione, pur irregolare e più profondo in corrispondenza
delle fessure, potrebbe presentarsi ovunque maggiore dello spessore di copriferro a causa di un prelievo effettuato tardivamente rispetto all’innesco del degrado in atto (Fig. 5.4).

Facebooktwittergoogle_pluspinterest