In teoria, qualsiasi forma di silice, anche quella cristallina come il quarzo, la tridimite e la cristobalite, possono interagire con il sodio ed il potassio per dar luogo ad una sorta di silicato alcalino gelatinoso capace di rigonfi arsi in ambiente umido. Tuttavia, la capacità di produrre silicato sodico aumenta al diminuire del grado di cristallinità della silice e diventa massima se la silice è amorfa come in alcune forme di minerali silicei (opale e calcedonio).
La reazione alcali-aggregato comporta un rigonfi amento localizzato degli aggregati reattivi che si manifesta nel tempo con fessurazioni di forma irregolare (Fig. 4.31) dalle quali fuoriesce un liquido gelatinoso e biancastro (silicato sodico) oppure in sollevamenti di conetti di calcestruzzo, noti come pop-out, soprattutto nei pavimenti industriali rinforzati in superfi cie con cemento e quarzo (Fig. 6.10 e 6.11). Alla fessurazione segue solitamente il distacco superfi ciale del calcestruzzo a causa dell’azione dirompente provocata dal rigonfi amento degli aggregati. Poiché il decorso della reazione alcali-aggregato richiede in genere tempi molto lunghi (da qualche mese a qualche decina d’anni), il fenomeno si presenta molto insidioso in quanto comporta il degrado della struttura quando essa è ormai da tempo in pieno servizio.
Per quanto l’esatto meccanismo della reazione alcali-aggregato non sia stato del tutto chiarito, sono stati individuati alcuni parametri fondamentali che concorrono al decorso del fenomeno distruttivo: la reazione alcali-aggregato si manifesta tanto più velocemente ed intensamente quanto più aumentano:
a) il contenuto di sodio e di potassio nella fase acquosa che riempie i pori capillari della pasta cementizia;
b) la quantità degli aggregati silicei mal cristallizzati ed amorfi ;
c) l’umidità relativa dell’ambiente.
E’ sufficiente che manchi una delle tre suddette condizioni perché il fenomeno non si manifesti o si manifesti senza danni apparenti: per esempio, in ambienti secchi gli aggregati reattivi possono coesistere con gli alcali del cemento senza alcun danno per il calcestruzzo. D’altra parte in ambienti umidi e con cementi ricchi di alcali la reazione alcali-aggregato può decorrere con gravi danni anche se la silice degli aggregati è scarsamente amorfa e per lo più ben cristallizzata.
Ciò si verifi ca soprattutto nei pavimenti industriali rinforzati superfi cialmente da uno “spolvero” di cemento (40%) e inerte fi ne molto duro come corindone o quarzo (60%). A causa della elevata quantità di cemento presente nello strato corticale anche il contenuto di alcali è molto elevato; esso può raggiungere valori così elevati da rendere reattivo un aggregato lapideo, presente senza problemi di alcali- reattività nel substrato di calcestruzzo, ma che diventa reattivo nella zona di transizione tra calcestruzzo e strato corticale (Fig. 4.32).
La presenza di cloruro di sodio in un ambiente umido circostante le strutture in calcestruzzo (come si verifi ca nelle opere marittime ed in quelle autostradali esposte ai trattamento con NaCl nei periodi invernali) può provocare un grave peggioramento nello stato di salute del materiale: in questo caso è lo ione sodio, e non il cloruro, che congiuntamente all’acqua crea le condizioni per un grave degrado del conglomerato. Ovviamente anche la penetrazione e
la concomitante azione corrosiva del cloruro sui ferri delle strutture armate, è fortemente favorita quando il copriferro viene fessurato ed in parte rimosso dalla reazione alcali-aggregato. Rimane il fatto che il cloruro di sodio è in grado di danneggiare sia i ferri di armatura (attraverso il cloruro) come è stato illustrato nel § 4.4.3.2, sia il calcestruzzo (attraverso il sodio) nel caso in cui quest’ultimo contenga degli aggregati potenzialmente reattivi.
L’azione aggressiva del cloruro di sodio sul calcestruzzo − per effetto della reazione del sodio con gli aggregati silicei − è stata per lungo tempo mascherata dalla concomitante azione corrosiva del cloruro sulle armature: in sostanza, la permeazione ed il distacco del copriferro sono provocati tanto dal rigonfi amento del ferro che si ossida quanto, ed ancor di più, dal rigonfi amento degli aggregati reattivi. La coesistenza dei due fenomeni è stata accertata per la prima volta da Chatterji (27) che ha evidenziato il grave danno subito dal calcestruzzo non armato, contenente aggregati reattivi, quando è in contatto con soluzioni acquose di cloruro di sodio.
L’azione aggressiva del cloruro di sodio su calcestruzzi contenenti aggregati reattivi, ancorché privi di alcali provenienti dal cemento, si può manifestare nelle opere marittime ed in quelle esposte nella stagione invernale ai trattamenti con sali disgelanti a base di NaCl. Le prevenzioni da attivare in queste circostanze sono fondamentalmente due:
● non impiegare aggregati reattivi sulla base delle prove descritte nella norma UNI 8520 parte 22^;
● impiegare cementi pozzolanici o d’altoforno, oppure aggiungere al cemento Portland materiali pozzolanici quali la cenere volante o il fumo di silice (26).
L’esclusione degli aggregati reattivi dalla produzione del calcestruzzo sarebbe, ovviamente, la misura preventiva più effi cace e defi nitiva. Tuttavia, i metodi di controllo sulla reattività degli aggregati con gli alcali presentano alcune diffi coltà legate alla laboriosità delle prove, all’incertezza dei risultati e soprattutto alla discontinuità del fenomeno: quest’ultimo aspetto del problema riguarda il fatto, per esempio, che in una grossa partita di aggregati, gli elementi lapidei reattivi sono localizzati in alcuni granuli e non in altri; se il prelievo del campione − solitamente esiguo − da sottoporre a prova non è rappresentativo di tutta la partita, il test può risultare non signifi cativo per la mancanza dei granuli reattivi nel campione analizzato, ma non nella partita. In altre parole un test di alcali-reattività degli aggregati è certamente signifi cativo se è positivo, ma non altrettanto se è negativo.
La presenza di pozzolana fi nemente suddivisa in un calcestruzzo contenente aggregati potenzialmente reattivi è, allo stato attuale delle conoscenze, la misura più effi cace, semplice e praticabile per la prevenzione dei danni provocati dalla reazione alcali-aggregato (§ 5.11.2). La pozzolana può essere introdotta nel calcestruzzo impiegando un cemento pozzolanico (miscela di cemento Portland e pozzolana) o aggiungendo pozzolana fi nemente suddivisa (cenere volante e fumo di silice) agli altri ingredienti del conglomerato. Anche la loppa granulata d’altoforno, aggiunta come ingrediente separato (50%) o attraverso il cemento d’altoforno (miscela di cemento Portland e loppa), si è dimostrata efficace nel prevenire la reazione alcali-aggregato.
Paradossalmente, la loppa, ma soprattutto la pozzolana, sono materiali costituiti in gran parte da silice amorfa e quindi potenzialmente capaci di reagire con gli alcali così come gli aggregati reattivi.
Tuttavia, esistono due aspetti signifi cativi che possono giustifi care il buon comportamento dei calcestruzzi con pozzolana o loppa nei confronti della reazione alcali-aggregato. Il primo riguarda la ridotta dimensione delle particelle di pozzolana (o di loppa) nei confronti dei granuli molto più grossi degli aggregati: in assenza di pozzolana, l’azione degli alcali si concentra sui pochi elementi lapidei reattivi presenti negli aggregati, provocando effetti dirompenti localizzati molto intensi; in presenza di pozzolana, invece, l’azione degli alcali è ripartita su un numero molto più elevato di particelle piccolissime contenenti silice amorfa, con la conseguenza che gli effetti rigonfi anti sono localmente molto attenuati, se non annullati.
Il secondo aspetto coinvolge il diverso rapporto alcali/silice amorfa che, in presenza di pozzolana, diviene molto più basso e probabilmente meno favorevole alla formazione dei silicati alcalini responsabili del processo distruttivo.
L’attacco degli ioni NH4+ ed Mg++ è basato su un processo di decalcifi cazione. La decalcifi cazione consiste nella rimozione del calcio dal prodotto “collante” C-S-H cui si deve sostanzialmente l’effetto legante dei cementi Portland o di miscela. A causa della perdita del calcio, il C-S-H si trasforma in prodotti progressivamente meno leganti fi no a diventare, nel caso limite di totale perdita del calcio, in un prodotto sostanzialmente formato da silice amorfa (S-H) priva di qualsiasi potere legante. Il meccanismo della decalcifi cazione si esplica attraverso il trasferimento del calcio che si trova nel C-S-H ad un complesso o prodotto privo di potere legante.
Nel caso dei sali magnesiaci si verifica: