Il nuovo calcestruzzo – La pozzolana

La tecnologia del calcestruzzo. Il Prof. Mario Collepardi ci descrive la pozzolana e la sua storia. Le informazioni sono tratte dal libro “Il nuovo calcestruzzo” acquistabile al seguente link www.encosrl.it/libriEcco del materiale tratto da libro “Il nuovo calcestruzzo”1.3.5.1 Il Pantheon di RomaOltre ad essere un capolavoro dell’architettura mondiale, per la bellezza della forma, l’arditezza della tecnica costruttiva, l’illuminazione straordinaria all’interno del monumento, è la costruzione dell’antica Roma conservatasi più intatta fino ai giorni nostri. Non è possibile citare al mondo un’opera in calcestruzzo più durabile del Pantheon. Fu costruito in soli 7 anni con Adriano Imperatore dal 118 al 125 d.C. edifi cando una cupola semisferica su una precedente costruzione eseguita circa un secolo prima da Marco Vipsanio Agrippa, come appare scritto sul frontone del portico.L’arditezza della costruzione sta soprattutto nella cupola in calcestruzzo del diametro record di 43,4 m (più grande di quello della cupola della Basilica di San Pietro) costruita con sabbia ordinaria ed inerti leggeri naturali (pomice) legati con calce e pozzolana. La cupola, che poggia su una struttura circolare in mattoni spessa 6 m, è stata realizzata gettando entro casseforme in legno un calcestruzzo sempre più leggero con massa volumica decrescente dal basso verso l’alto grazie al diverso rapporto pomice/sabbia. Nella parte bassa si conficcavano nella malta pezzi di travertino o mattone successivamente battuti con mazze metalliche mentre nella parte più alta si impiegavano anche anfore vuote per alleggerire – unitamente all’impiego della pomice – il calcestruzzo. Ciò ha consentito, tra l’altro, di realizzare l’ardito progetto di costruire una struttura perfettamente semi-sferica (essendo l’altezza della cupola terra uguale a 21,7 m, cioè metà del diametro) con lo spessore della cupola che si riduce da 6 a 1,2 m in corrispondenza dell’apertura circolare (oculus) con diametro di 8,7 m nella sommità.  1.3.5.2 Pont du Gard a Nimes Pont du Gard a Nimes, in Francia, l’antica Nemansis dei Romani, faceva parte di un acquedotto che portava l’acqua dalla sorgente di Uzès fi no alla città di Nimes per oltre 50 Km per lo più attraversando zone interrate. Sono due gli aspetti che più colpiscono questa opera dell’ingegneria idraulica ed architettonica al tempo stesso costruita da Marco Vipsanio Agrippa all’epoca dell’imperatore Augusto (2-19 d.C.): 1) la incredibile precisione nella pendenza dell’acquedotto che doveva trasportare per gravità l’acqua da Uzés a Nimes per 50 km contando solo su un dislivello di 17 m, pari cioè ad una pendenza di 1 m ogni 3 km, cioè dello 0,3‰. Per la realizzazione di questo obiettivo gli ingegneri Romani attraversarono colline scavando in sotterraneo e costruirono il ponte che attraversava il fi ume Gard al fi ne di mantenere quella minima pendenza dello 0,3‰ capace di garantire il fl usso dell’acqua per gravità; 2) la bellezza artistica del ponte che presenta un’altezza di 49 m per una lunghezza di 273 m; il ponte attraversa il fi ume con 4 arcate al piano inferiore (con una luce di 24,5 m ed uno spessore di oltre 6,36 m per resistere alla corrente del fi ume), sette arcate al piano intermedio (con uno spessore minore di 4,54 m) e 35 arcate nel piano superiore (con uno spessore ancora minore di 3,06 m) sopra le quali scorre l’acquedotto vero e proprio .Pont du Gard è un altro esempio di capolavoro ingegneristico ed architettonico costruito per durare a lungo. Non subì, infatti, degrado grazie all’impiego di malta pozzolanica che rivestiva la superfi cie interna dell’acquedotto. Tuttavia nel Medioevo fu impropriamente utilizzato come ponte stradale, per il quale non era stato costruito, e si verifi carono preoccupanti fessure alla base del secondo piano di archi. Il dissesto fu riparato nel XVIII secolo riportando il monumento alla sua architettura originale ed affi ancandolo con un ponte stradale senza modifi care l’aspetto del Pont du Gard come costruito dai Romani.   1.3.5.3 Porto di Cosa Cosa è una località sul Mar Tirreno in Toscana, in prossimità del Monte Argentario. Nell’antichità il suo porto (Fig. 1.14), costruito dai Romani (Portus Cosanus), svolse un ruolo di grande importanza per l’attività della pesca (A.M. Mc Cam, “The Roman Port and Fishery of Cosa – A center of Ancient Trade”, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, USA, 1987, pp 347).Nell’area del porto di Cosa esistono ancora alcune antiche strutture destinate in passato a diverse funzioni. La più grande di queste strutture, attualmente tutta sommersa dall’acqua di mare, fungeva da frangifl utti. Su questa struttura, furono costruiti due dei cinque grandi moli in calcestruzzo ancora esistenti a distanza di oltre due millenni. Inoltre, tre muri in terrapieno (due dei quali a struttura poligonale) si spingevano dalla costa verso il mare per alcuni chilometri. L’insieme di queste costruzioni formava un ingegnoso sistema di canali che collegavano al mare la laguna naturale riservata all’allevamento dei pesci. Certamente, da un punto di vista squisitamente estetico, ciò che rimane di quelle strutture è di secondaria importanza soprattutto in un paese come l’Italia così – 18 – Fig. 1.14 – Vista del plastico ricostruito del porto di Cosa Fig. 1.13 – L’acquedotto sul Pont du Gard ricco di straordinarie costruzioni, talvolta ancora integre come il Pantheon. Ciò che rimane delle strutture portuali di Cosa è ben poco per l’abbandono delle attività originali nei secoli successivi. In un interessante articolo il canadese T. W. Bremner (“Una “Cosa” molto antica”, disponibile su www.enco-journal. com ? Archivio: il meglio di Enco Journal ? L’Antico) ha esaminato alcuni aspetti riguardanti la scelta dei materiali e la straordinaria durabilità del materiale delle strutture di Cosa che possono essere sicuramente catalogate nella categoria dei calcestruzzi leggeri a prolungata durabilità. I cinque moli in calcestruzzo (larghi 7 m, lunghi 5 m ed alti 5 m) furono costruiti nel 237 a.C.; nella costruzione di questi moli si possono riconoscere due tipi di calcestruzzo, entrambi a base di calce-pozzolana come legante, ed entrambi con aggregati leggeri: nello strato inferiore del calcestruzzo, parzialmente sommerso in acqua, furono impiegati, come aggregati naturali leggeri, tufi provenienti da un’area vulcanica a 60-80 km a nord-est di Cosa; nel calcestruzzo dello strato superiore, tutto fuori acqua, furono impiegati, come aggregati artifi ciali leggeri, rottami di anfore (Fig. 1.15), presumibilmente scarti di lavorazione di un impianto locale per la produzione di contenitori ceramici destinati al trasporto del vino.L’impiego di aggregati leggeri – naturali o artifi ciali – fu tenuto in grande conto dai costruttori Romani per ridurre i carichi in servizio derivanti dal peso proprio della struttura (si pensi al Pantheon) o, come per il Porto di Cosa, per alleviare la fatica nel trasporto e messa in opera dei materiali. Inoltre, dallo studio dei calcestruzzi del Porto di Cosa emerge un altro importante aspetto della civiltà dei Romani: la capacità di riciclare materiali di scarto di altre lavorazioni (nel caso specifi co rottami di anfore) per la costruzione di opere durabili, un tema questo di grande attualità nel mondo moderno dove spesso si invocano durabilità e sostenibilità senza però spesso metterle in atto. Un’altra importante considerazione sulla scelta dei materiali riguarda l’origine della pozzolana impiegata nelle strutture del Porto di Cosa: un esame comparato (eseguito, secondo Bremner, dall’Università della Pennsylvania) sulla pozzolana presente nei moli del Porto di Cosa e su quella utilizzata nelle costruzioni di Pozzuoli ha evidenziato che si tratta di materiale lavico proveniente dalla stessa area. Si deve quindi concludere che i costruttori del Porto di Cosa non si fermarono davanti alle diffi coltà di un trasporto per alcune centinaia di chilometri, da Pozzuoli a Cosa, per utilizzare quella pozzolana che già a quell’epoca godeva fama di materiale indispensabile per le opere a lunga durabilità. La straordinaria durabilità a lungo termine delle strutture in calcestruzzo a base di calce-pozzolana riceve una conferma dalle opere portuali di Cosa: i moli, pur essendo continuamente immersi in acqua marina ed esposti alle sollecitazioni fortemente abrasive derivanti dal moto ondoso in presenza della sabbia e della ghiaia della costa, hanno conservato sostanzialmente le dimensioni originali dopo oltre 2000 anni dalla loro costruzione.1.3.6 DURABILITÀ E SOSTENIBILITÀ NELLE COSTRUZIONI DEI ROMANI L’analisi di tre costruzioni appartenenti all’architettura (come il Pantheon), all’ingegneria idraulica (come l’acquedotto sul Pont du Gard) ed all’ingegneria marittima, come i resti del Porto di Cosa, mettono in evidenza che i Romani, abilissimi architetti e costruttori, misero in atto le seguenti regole: a) impiegare materiali durabili (per esempio pozzolane vulcaniche naturali o artifi ciali come il cocciopesto); b) alleggerire le strutture con materiali (tufo ed anfore) in relazione ai carichi statici (Pantheon e Pont du Gard) ed alla loro messa in opera (Porto di Cosa); c) recuperare dalle costruzioni demolite i mattoni per produrre pozzolane artifi ciali, cocciopesto) e scarti di altre lavorazione (rottami di anfore) per una intelligente allocazione dei rifi uti di altre lavorazioni; d) trasportare anche a lunga distanza (per esempio via nave da Pozzuoli a Cosa) materiali pozzolanici necessari a garantire la durabilità dell’opera.

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